Carry you home

with Persefone

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    Byron Leclerc
    30 // Mimesi di un Potere //Salvatori
    Tardi, quella mattina era cominciata davvero molto tardi per gli standard di Byron, era ancora nel suo letto quando la sveglia prese a suonare in netto ritardo. Il ragazzo era piegato verso un lato con un braccio sotto il cuscino e i capelli in pieno disordine e difficilmente avrebbe avuto tutto il tempo di metterli in ordine. Una smorfia, prima di girarsi verso la sveglia allungando il braccio per fare in modo di spegnerla una volta per tutte. Fatto, la prese per controllare l'ora ma la vista non si era ancora svegliata del tutto, vedeva sfocato, un immagine sparsa in mille frammenti e impossibile da decifrare. Strizzò gli occhi quando l'orologio segnava le nove del mattino, all'inizio non si rese conto anzi, ci vollero un paio di minuti prima di mettere a fuoco che era in netto ritardo. Spalancò gli occhi come quando si aveva commesso un errore imperdonabile, come se ci fosse un capo pronto a bacchettarlo quando in realtà, l'Azienda era in mano sua ma c'erano sempre gli Azionisti a controllarne gli esiti. Da quando aveva preso in mano l'Azienda, non aveva mai fatto un minuto di ritardo anzi, aveva cercato sempre di arrivare al momento giusto ma quel giorno, era troppo tardi per perdersi nelle parole, stava dando il brutto esempio ai suoi dipendenti nonostante cercava sempre di essere distaccato con loro per non farsi prendere dalla troppa confidenza. Una delle cose che aveva imparato come datore, era l'importanza di mantenere un certo equilibrio, una distanza con il dipendente non in grado di rompere la giusta decisione da prendere. Pietà, compassione e amicizia, erano tre parole che non poteva permettersi ed era proprio per questo che ogni tanto malediva ironicamente suo padre per avergli lasciato in mano le redini. Se avesse seguito il suo cuore, se avesse seguito i suoi desideri, sarebbe diventato un Parrucchiere e si sarebbe aperto un'attività in proprio, aveva persino pensato a un nome come: "By Byron" ma era solo un'idea che nella peggiore delle ipotesi, sarebbe rimasta nella sua mente. Assottigliò le labbra per poi esclamare:-Oh no! disse una prima volta, cercando di alzarsi per mettersi seduto sul letto e ragionare in fretta sul da farsi. Non aveva tempo per nulla, quella mattina avrebbe dovuto svolgere un colloquio per una collaborazione di lavoro e avere dei visti che gli servivano per una pratica. Alla fine dell'incontro, aveva programmato di andare al Rising Sun a trovare sua sorella Persefone e guai a Lui se non lo ci sarebbe andato.
    Se lo ripeteva come un mantra, era risaputo che le sue intenzioni erano quelle di tirarla fuori da quel lurido posto che mai lo aveva convinto. Non era mai stato d'accordo con sua madre per la decisione di dimenticarla, Lui avrebbe voluto tirarla fuori e restituirle la vita che meritava, era pronto a tutto pur di raggiungere il suo obiettivo, anche di scendere a patti con il Diavolo in persona se ci sarebbe stata l'occasione. La liberazione di Persefone era l'unica cosa che veniva prima del suo Sogno, la più importante.
    Ma non c'era tempo, doveva sbrigarsi il Tempo scorreva come un assassino pronto a colpirti alle spalle nel momento in cui non se lo si aspettava. Si alzò dal letto mormorando ancora:-merdissima merda, sono in ritardo.. avrebbe voluto dire altro ma non poteva. In quel momento indossava una t-shirt a maniche corte color nera e un paio di pantaloni - tuta molto probabilmente- color grigio scuro. Faceva freddo dato che era il periodo invernale ma Byron, era una vera roccia e non sentiva nulla. Si tolse i vestiti e cominciò a correre verso il bagno lanciandosi all'interno della cabina della doccia.
    Inevitabile, passarono alcuni minuti che suonavano come una condanna a morte, Byron era diventato un vero e proprio figurino e tutto era al suo posto come sperava a eccezione del tempo che continuava a scorrere inesorabilmente. Aveva deciso di adottare un look atipico per un incontro di lavoro, al contrario dello Smoking, decise di usare degli abiti molto comuni, una camicia azzurrina a quadri con alcune sfumature di bianco, un paio di Jeans scuri e una felpa color grigio fumo. Non aveva avuto il tempo di scegliere abiti migliori, il suo interlocutore se ne sarebbe dovuto fare una ragione. Prese la sua giacca marroncina in pelle assieme alla sua solita tracolla per poi uscire dalla sua camera diretto brevemente verso la cucina ma non vi era nulla.
    Nel frattempo che si era vestito aveva chiamato un Taxi per farsi trasportare nella sua Azienda, lo faceva praticamente tutti i giorni, non avendo tempo, aveva pensato che sarebbe stata un'ottima scusa quella di nascondersi nel problema riguardante il traffico della città.
    Al di fuori della sua abitazione c'era una fitta pioggia ad attenderlo e non sapendo come coprirsi, pensò di usare il quaderno contabile dell'azienda per coprirsi dalla pioggia. Cominciò a correre fino al cancello dove puntuale il Taxi si era fermato. Giunto a destinazione, aprii lo sportello salutando il Taxista con un cenno del capo e il suo petto che faceva su e giù per riprendere aria. Decise di sedersi al centro tra i due sedili posteriori per poter guardare meglio la strada anche perche stare a destra, avrebbe significato sentirsi come "Al Capone" in uno dei suoi film e a sinistra come una vecchia star di Hollywood come "Brad Pitt". Alla fine al centro e con lo sguardo rivolto verso la strada era stata la scelta migliore.
    alternò sguardi alla strada e allo specchietto da dove era possibile vedere la targhetta con sopra scritto il nome dell'autista: Axel Max, un nome al quanto insolito. La sua abitazione ormai era lontana chilometri, sembrava essere un puntino lontano come un vecchio ricordo ormai alle spalle. La pioggia continuava a schiantarsi sul tettino tanto da fare un tremendo rumore insopportabile. Byron con la schiena comodamente poggiata sullo schienale, tirò indietro la testa per osservare dal tettino trasparente le gocce d'acqua che facevano ormai da ornamento. Era davvero una brutta giornata cominciata forse nel peggiore dei modi. La verità era che la sera precedente aveva esagerato, non aveva riunioni di lavoro e quindi si era concesso una serata al "Bally's Burger" un locale frequentato da molte persone, un luogo della città dove era insolito trovare dei panini perfetti, erano buoni proprio perche erano orrendi se non fosse che il proprietario "Jax" era un suo vecchio amico. Era presente anche lui alla sua festa di compleanno di quindici anni quando Persefone manifestò per la prima volta il suo potere, Byron assottigliò in quel momento le labbra pieno di rammarico. Aveva pensato a Lei come Persefone, sembrava suonare come un ammissione ma il nome di sua sorella era Vivienne. Non doveva mai dimenticarlo.
    Quando arrivò al piazzale della sua Azienda, l'autista allungò una mano verso il ragazzo per riscuotere la cifra che serviva e che il macchinario aveva contato e stabilito. Byron abbassò il capo e mise la mano nelle tasca destra cercando il suo portafoglio che però, in quel momento non era li nei pantaloni:-Scusa un'attimo. disse assottigliando nuovamente le labbra, scavando ovunque nei suoi pantaloni, nelle tasche anteriori e posteriori ma niente, il suo portafoglio sembrava essere sparito nel nulla. Non riuscii a trattenere l'imbarazzo in quel momento, cosi cercò nella sua tracolla ma anche li, non c'era nessuna traccia! - ma dove l'ho messo? cominciò a parlare da solo con Axel che lo stava guardando con un velo di perplessità ma in quel momento, ripensò alla sera prima a quando aveva provato a pagare l'Hamburger che poi gli era stato gentilmente offerto, invece di rimetterlo nelle tasche, lo aveva messo in quella interna della giacca. Byron sorrise accompagnato dall'imbarazzo tirando fuori come per magia i contanti.
    Lasciò Lui un mazzetto di banconote, molto probabilmente anche più di quello che meritava, anche solo per la pazienza di aver aspettato quei pochi minuti in più. Scese dalla macchina salutando l'autista e affrontando nuovamente la pioggia che fin lì, non voleva sapere di smettere. Era arrivato il momento peggiore, il momento in cui i suoi dipendenti lo avrebbero visto arrivare in ritardo e sicuramente avrebbero tirato fuori qualche strano mormorio se non fosse che l'appuntamento con il colloquio era ormai imminente, con quel passo sarebbe entrato assieme al suo interlocutore e non poteva permetterselo. Cosi una volta entrato dentro, cominciò a correre facendosi strada tra i dipendenti. -permesso! disse una prima volta passando in mezzo a un paio impegnati in una conversazione di lavoro, ne seguirono altri tre:-Scusa! affermò dopo aver dato una spallata involontaria a uno di loro. Non c'era tempo per entrare in ascensore, l'orologio stava che teneva sul polso stava per lanciare la sua sentenza. Corse per le scale, senza guardare nessuno e senza guardare nemmeno Miranda che in quel momento stava salendo anche Lei le scale.
    Giunto a destinazione si appoggiò con la schiena al muro, era diventato rosso paonazzo e il fiato stava venendo meno. Prese dei profondi respiri, il suo petto continuava a gonfiarsi e sgonfiarsi per immagazzinare più ossigeno possibile. Un ciuffo fuori posto e una vena pulsante sulla tempia. Non perse più tempo, girò la chiave ed entro dentro il suo ufficio.
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    Si tolse la tracolla lasciandola appesa all'appendi giacca assieme ad essa, il suo orologio segnava ormai pochi secondi al momento dell'appuntamento. Andò a sedersi comodo sulla sua poltrona dietro la sua grande scrivania, il computer era ancora acceso e per ammazzare l'attesa, cominciò a leggere un libro che parlava della Guerra Fredda. Un libro che alla fine era un diario pieno di disegni e commenti in prima persona di un soldato che aveva vissuto in quegli anni, molto prima della venuta di Sallister, quando il Mondo era una valvola impazzita. C'era no stati individui molto potenti come Hilter, Stalin e molti altri ancora, dittature, guerre e genocidi accompagnati sempre da un Regime e una buona dose di ribellione, persone che combattevano, si ribellavano a quei regimi. Alla fine Sallister sembrava aver sistemato tutto, creando un sistema perfetto e sarebbe stato davvero difficile trovare qualcuno che si opponeva e perchè mai avrebbe dovuto farlo?
    I minuti passavano ma dell'uomo che stava attendendo non vi era nemmeno l'ombra e Byron, non poteva aspettarlo per sempre dato che di li a pochi minuti sarebbe corso da Vivienne. L'uomo che attendeva si chiamava Sebastian Blood, si occupava dei visti per le Aziende e quell'incontro, gli avrebbe permesso di poter portare avanti un lavoro fermo ormai da mesi. Aveva sentito molte voci girare su quel tipo, che in realta era pazzo, che aveva ucciso suo padre e rinchiuso sua madre in una clinica psichiatrica facendola passare per una vecchia Zia malata mentale. Byron sospirò, quante storie erano in grado di inventarsi le persone al giorno d'oggi.
    Guardò ancora l'orologio sospirando, quando ad un tratto il suo telefono prese a squillare a causa dell'arrivo di un messaggio. Aggrottò le sopracciglia con fare curioso per vedere chi era e per uno strano caso del destino, era proprio colui con cui avrebbe dovuto parlare:"Egregio signor Leclerc, a causa di circostanze impreviste, mi duole informarla che non sarò più in grado di asserire al nostro incontro per la giornata di oggi. Le auguro comunque una giornata proficua. Distinti Saluti, Sebastian Blood."
    Sospirò dopo aver letto il messaggio, dopo aver corso per le scale pur di arrivare in tempo a quel colloquio che a quanto pareva, non si sarebbe tenuto per quel giorno. Era deluso ma non arrabbiato, perche voleva dire che sarebbe potuto andare al Rising Sun a trovare Vivienne. Non perse tempo, si alzò dalla sua poltrona lasciando il libro sopra alcuni Curriculum di lavoro che Miranda gli aveva poggiato lì il giorno prima. Oltrepassò la porta e prese l'ascensore diretto verso l'uscita.
    Fuori continuava a scendere la pioggia, senza freni alcune strade si stavano allagando e lo stesso sarebbe accaduto a Lui se non trovava un mezzo di trasporto. I tombini facevano il loro assorbendo quanta più acqua possibile, vide da lontano un Taxi fermo e l'autista impegnato ad ingozzarsi un panino. Strada facendo non riuscii a non vedere una vetrina molto particolare. Era un parrucchiere e il nome del negozio si chiamava esattamente "By Byron" qualcuno doveva avergli copiato l'idea. Guardò la vetrata a lungo, voleva vedere in faccia chi aveva osato copiare la sua idea, stava quasi per entrare ma riuscii a concentrarsi su Vivienne, Lei veniva prima di ogni altra cosa, con il copione se la sarebbe vista in un secondo momento.
    Lanciò una smorfia prima di raggiungere il Taxista che questa volta sul tesserino aveva scritto "Harry Twinky", dalla faccia doveva essere uno dei più distratti. Salii sul veicolo e dopo aver chiuso l'ombrello, ordinò Lui di portarlo al Rising Sun.
    Questa volta il viaggio non durò molto, riuscii ad arrivare senza troppa fretta anzi, nei tempi giusto per prepararsi psicologicamente e trattenersi dall'idea di rapirla seduta stante. Non era un mistero che Byron voleva a tutti i costi tirarla fuori di lì, aveva cercato di studiare qualche piano, addirittura di farsi un'idea sull'edifico ma per quanto folle potesse essere quel piano, non smetteva mai di pensarci e un giorno, Lui sarebbe riuscito a salvarla, ne era sicuro come era vero che si chiamava Byron.
    Giunto finalmente a destinazione, in fondo un pò ci stava pensando, cosa avrebbero detto i suoi se sarebbe riuscito a tirare fuori sua sorella? sarebbe stata la cosa giusta? o sarebbe passato per un criminale ricercato? in ogni caso, era sicuro che chiunque al suo posto avrebbe fatto lo stesso. Vivienne non meritava di rimanere rinchiusa, sua madre aveva sbagliato e se lo sentiva, si era lasciata molto probabilmente all'idea della paura di non poterla gestire e di non vedere più la Vivienne che conosceva. Sua madre sbagliava, ne era certo.
    Entrò nella stanza dove avrebbe incontrato sua sorella dopo essere entrato all'ingresso e svolto tutta la routine, finalmente era lì in quella stanza pronto a parlare con sua sorella. Era emozionato come ogni volta che usciva da quella porta, si sedette sopra la sedia accavallando le gambe in attesa dell'arrivo di Vivienne.

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    Quanto più chiudo gli occhi, allora meglio vedono,
    perché per tutto il giorno guardano cose indegne di nota;
    ma quando dormo, essi nei sogni vedono te.
    (William Shakespeare)


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    Ce l'ho fatta, il post l'ho scritto due volte ma la prima non mi convinceva cosi l'ho riscritto ed è venuto fuori tutto d'un fiato. CHiedo scusa per la lunghezza ma ero al quanto ispirato, ovviamente Lulu se qualcosa non va o non ti torna, sono sempre pronto a modificare. Non ho descritto nulla del RIsing Sun per non sbagliare, sono partito già dal fatto che Byron è nella stanza pronto ad aspettare l'arrivo di vivienne e sono rimasto vago su come ci è arrivato lì sempre per non sbagliare. Per qualsiasi cosa non va bene o non ti torna, dimmelo che sono sempre pronto ;)

    Se qualcosa non va chiedo scusa, ma come ti ho detto via mp sono molto arruginito >.<


    Edited by ~ Chuck - 31/1/2017, 14:12
     
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    Vivienne Persefone Leclerc
    25 // Tocco di Persefone // Nessuna congrega
    Persefone aveva imparato a conoscere il Rising Sun: aveva passato la sua adolescenza lì dentro, dunque sapeva se le porte dei corridoi che attraversava conducevano ad un ufficio, ad una sala operatoria o ad una stanza per gli esperimenti. Non le era consentito muoversi per tutta la struttura - farla uscire ai livelli non interrati era troppo rischioso poichè non tutta la struttura era schermata in modo tale da bloccare il suo dono - ma oramai i livelli che si sviluppavano sotto terra non avevano quasi più segreti per lei. Conosceva la struttura e il personale che vi lavorava e sebbene la sua patologia le rendesse difficile buona parte dei rapporti umani - già resi complicati dalla condizione in cui viveva: perchè diciamocelo, il Rising Sun non era propriamente una struttura accogliente: non era un ospedale, era un centro di ricerca - in più di un'occasione aveva cercato di rapportarsi timidamente ad alcuni medici e ad alcuni altri pazienti rinchiusi lì dentro. Vi era un anestesista che Persefone conosceva da anni: l'uomo aveva iniziato a lavorare al Rising Sun un paio di anni dopo il suo ingresso lì dentro e faceva ancora parte del personale che si occupava di lei. Persefone lo vedeva di rado, ma lui cercava sempre di metterla a suo agio; altri medici, invece, erano bruschi e poco cordiali. A dire il vero, la stragrande maggioranza di coloro che lavoravano lì dentro si mantenevano freddi, distaccati, bruschi a volte, persino violenti in taluni casi e la ragazza li capiva: non doveva essere facile, per loro, avere a che fare con dei soggetti pericolosi e non affezionarsi, probabilmente, era la soluzione migliore, visto la condizione precaria in cui vivevano. Serviva un certo sangue freddo per fare esperimenti con le persone: lei sapeva ben poco del mondo esterno essendo praticamente cresciuta tra quelle mura, ma quel concetto riusciva ad intuirlo e non riusciva, non riusciva proprio a prendersela con i secondini e con i medici che lavoravano lì dentro. In fondo, quello era il loro lavoro, la loro missione, che forse, un giorno, avrebbe permesso anche a loro di tornare a camminare fuori da quella struttura. Lothbrooke stava ideando una tuta in grado di bloccare le radiazioni di un'altra paziente di cui Persefone aveva sentito parlare ma che ancora non aveva avuto modo di conoscere e, una volta ultimata, quella tuta forse le avrebbe permesso di tornare ad una vita normale. Forse qualcuno avrebbe realizzato una tuta simile anche per lei e quel giorno lei sarebbe potuta tornare a vivere davvero, fuori di lì, assieme a Byron. "Forse..." pensò. Ma non era detto che facessero in tempo: poteva anche morire prima. La morte la aveva già sfiorata anni prima quando, dopo una lobotomia frontale, era finita in coma. Istintivamente, la mano destra di Persefone scattò verso l'alto e la ragazza si sfiorò la fronte, lì, sotto la frangia, dove un'orrenda cicatrice deturpava la sua fronte, segno tangibile di ciò che le era capitato. Probabilmente lei non sarebbe più uscita da lì ma magari grazie al suo contributo qualcun altro negli anni a venire avrebbe potuto vivere una vita normale, quella che a lei era stata negata.

    Fissava il soffitto della sua cella vuota, Persefone, una cella illuminata solo da luce artificiale, che si accendeva e si spegneva a seconda dell'ora, unico tangibile segnale dello scorrere del tempo e dell'alternarsi giorno-notte. Non vi erano finestre nella sua cella, non vi erano finestre in nessuna delle stanze in cui veniva portata quando usciva di lì: troppo pericoloso porre tra lei e la flora che circondava la struttura solo ed esclusivamente una lastra di vetro, per quanto spessa. No, i medici del Rising Sun preferivano tenerla nella parte più schermata della struttura, quella sotto terra, anche se era proprio lì che si infiltravano le radici delle piante, quelle che davano la vita. Era pericoloso anche così ma a detta dei medici del Rising Sun le fondamenta solide ed impenetrabili dell'edificio erano lo schermo migliore che potevano permettersi. Persefone non vedeva il sole da anni: era riuscita a scorgerlo solamente durante il suo periodo di degenza dopo la lobotomia, quando le era stata data una stanza ai piani superiori; ma come si era risvegliata era tornata nelle viscere della terra, nuovamente nell'Ade. Trovava il suo nuovo nome, la sua nuova identità, azzeccata, quasi profetica: secondo il mito, quando Persefone visitava l'Ade per ricongiungersi con suo marito, Demetra lasciava morire le messi e solo con il ritorno della figlia in superficie la natura tornava a vivere. E per lei era lo stesso, anche se il meccanismo funzionava al contrario: quando lei veniva rinchiusa nei suoi personalissimi inferi, la natura cresceva rigogliosa fuori dal Rising Sun, ma quando lei lasciava quella grotta sicura, ecco che ogni cosa moriva. Per questo non poteva uscire e anche le sue visite al Sanitas, con gli anni, si erano ridotte sempre più. Per uscire dalla struttura, Persefone aveva bisogno di un blindato che schermasse le sue radiazioni: esso scendeva da una rampa apposita fino ad uno dei livelli interrati della struttura e la caricava per portarla al manicomio. Là succedeva esattamente lo stesso. Perchè le precauzioni non erano mai troppe e sebbene lei venisse imbottita di medicinali, di farmaci volti a depotenziare il suo dono quando doveva uscire o non era sottoposta ad esperimenti, il blocco non era mai totale e i medici non potevano permettersi alcun tipo di rischio. Persefone era consapevole del fatto che quello era un privilegio, per lei, poichè nessun altro poteva uscire. Quello e le visite di Byron, lusso concessole solo perchè la sua famiglia, con la sua azienda, aveva sempre finanziato il Governatore, perchè sua madre aveva fatto pressioni sulle giuste conoscenze quando lei era solo una bambina. E anche ora che la donna non le faceva più visita, anche ora che si era dimenticata di lei, quei piccoli privilegi restavano una minuscola realtà, un punto fisso nella vita di colei che, in un'altro tempo, era stata Vivienne Leclerc.

    La serratura della porta blindata che chiudeva la sua stanza scattò e Persefone si mise subito a sedere sulla sua branda, osservando chi sarebbe entrato dalla porta, pronta ad ogni evenienza. Hai visite le comunicò asciutto uno dei due secondini che erano andati a prenderla e così la ragazza si alzò dalla sua branda e li raggiunse con piccoli ma svelti passi, chiedendosi se avrebbe visto Byron o suo padre, quel giorno. Probabilmente era Byron, sperava fosse suo fratello. Non ricordava più da quanto tempo non lo vedeva - era difficile conteggiare i giorni quando l'unico indicatore che avevi a disposizione erano le visite di routine e l'accensione di una lampada alogena - ma quei brevi colloqui era probabilmente ciò che la faceva sentire meglio, ciò che più le ricordava che aveva avuto davvero una vita prima di finire lì e che non si era sognata tutto. Uscita dalla cella venne affiancata dalle due guardie, ma nessuna delle due la bloccò nè le vennero imposte manette o altre restrizioni, sebbene le guardie fossero entrambe armate di manganelli e taser: sapevano che non sarebbe scappata. Persefone era tra quei pazienti che collaboravano coi medici, che non protestavano quando venivano sottoposti ai test, dunque sebbene venissero comunque tenuti d'occhio, erano trattati con meno brutalità. Ovviamente agli addetti alla sicurezza non era concesso abbassare la guardia ma potevano permettersi di non usare la forza bruta con una ragazza che, fisicamente, era la metà di loro. Non che Persefone fosse deperita, ma non potendo nutrirsi di altro al di fuori di cibi sintetizzati e privi di sapore, aveva finito col perdere peso: era in salute, sì, ma non possedeva la forza necessaria per contrastare una guardia, figurarsi due! Sguardo basso, passo leggero, Persefone contava i passi che la separavano dalla stanza in cui la avrebbero portata per parlare con Byron con un'ansia crescente addosso. Sì, perchè la sua patologia - Sindrome di Capgras, questo il nome che aveva letto in un libro - si manifestava principalmente con le persone a cui voleva bene, dunque Byron era un soggetto a rischio. Raggiunta la porta, la ragazza prese un respiro profondo e, una volta che venne aperta, Persefone fece il suo ingresso, senza smettere di fissare il pavimento. Stanza bianca, priva di arredo fatta eccezione per un tavolo di metallo ancorato al pavimento e due sedie, una dal lato di Persefone, l'altra dal lato opposto; quest'ultima, era già occupata. Persefone sollevò leggermente lo sguardo, quanto bastava per puntare gli occhi sul viso dell'uomo seduto al suo posto e le sue labbra si piegarono in un leggero sorriso quando riconobbe Byron. Sentendo la porta richiudersi alle sue spalle, la ragazza prese posto sula sua sedia, intrecciando le dita delle mani mentre se le posava in grembo: sapeva che le guardie sarebbero rimaste fuori dalla porta, pronte ad intervenire in caso di necessità. "Ciao Byron" disse, mantenendo lo sguardo basso, nella speranza che l'assenza di contatto visivo tenesse a sua patologia a bada per un pò; la sua voce era quasi un sussurro, ma ricolmo di tutta la sua emozione: le era mancato, più di quanto i medici o Byron stesso potessero immaginare. Oh, cosa avrebbe dato per poter alzare la testa e guardarlo senza provare il timore di vedere in quegli occhi qualcosa che la avrebbe portata a pensare che suo fratello era stato sostituito da un qualche clone! "Non ti aspettavo" aggiunse timidamente, senza smettere di torturarsi le mani, come una bambina nervosa "Ma sono contenta di vederti... che tempo c'è fuori? domandò titubante, azzardandosi ad alzare leggermente la testa per poterlo guardare anche solo di sottecchi "Siamo..." Silenzio. Un'esitazione, un piccolo dubbio, che portò la ragazza a tacere. "Siamo già in primavera?" gli domandò infine titubante mordendosi il labbro inferiore, tornando ad abbassare la testa. Primi due minuti di conversazione, ed ecco che già il peso della sua reclusione si faceva sentire.
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    Eccomi finalmente! ** Scusa se ci ho messo tanto ma sono state settimane terribili <3 Spero che il post ti piaccia e non scusarti per la lunghezza, che per me non è un problema <3! E comunque non puoi citarmi Shakespeare a fine post, io AMO Shakespeare ** poi mi perdo a rileggere quella frase e chi risponde più?
     
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    Non era come una di quelle riunioni Aziendali dove il Tempo sembrava non passare mai, le lancette dell'orologio presente sul muro della stanza, faceva il suo lavoro con la differenza che il tempo era come se si fosse bloccato sullo stesso minuto da troppo tempo. Byron giocava di continuo con la sua immaginazione mentre osservava la porta da dove sarebbe dovuta entrare sua sorella o meglio, Vivienne. Aveva cambiato posizioni cosi tante volte che non sapeva più neanche come sedersi su quella dannata sedia. La stanza era vuota, deserta e bastava persino un piccolo movimento per far si che l'Eco riproducesse il suono amplificandolo più del dovuto. In quel momento era da solo con le sue emozioni, pensando dentro di sè a come sarebbe andato quel colloquio e come avrebbe reagito Vivienne diversamente dalle altre volte o come l'avrebbe trovata, magari poteva essere ingrassata o persino dimagrita se le razioni del cibo erano quello che erano.
    Aveva le mani raccolte tra di loro e poggiate sul tavolo di ferro, indossava dei guanti per controllare il suo Dono di modo da non entrare in contatto fisico con Vivienne e di conseguenza, copiarne il potere anche se da un punto di vista logico lo avrebbe potuto usare per mettere le due guardie fuori gioco e farsi strada verso l'uscita assieme a sua Sorella ma quel piano, aveva anche delle conseguenze non indifferenti. Avrebbe potuto toccare qualsiasi persona e di conseguenza, sfiorare il limite di volte in cui era in grado di padroneggiare il suo Dono, essere beccato con il dono di Vivienne e rischiare di essere rinchiuso anche Lui lì dentro, sarebbe stato un enorme buco nell'acqua se non spreco di forze inutile.
    Era impossibile tirarla fuori da lì come membro esterno, quello di cui aveva bisogno era di qualcuno presente all'interno dell'edificio o magari una di quelle guardie facili da corrompere, in fondo la corruzione era un argomento ancora in voga tra le Enti di maggiore importanza. I controlli specialmente quelli riguardanti la finanza o anche la Struttura fino ad arrivare ai dipendenti, erano corruzioni ben risapute ma corrompere una guardia per permettere a un prigioniero di fuggire, soprattutto quando l'ufficio in questione era il Rising Sun, a conti fatti era pura utopia e da solo non c'è l'avrebbe mai fatta a farla uscire, erano troppi gli ostacoli da superare ma Byron non aveva mai smesso di credere che un giorno c'è l'avrebbe fatta anche a costo di aspettare.
    Cominciò a tamburellare con il piede a terra per ammazzare la tensione, alternando uno sguardo all'orologio e uno alla porta d'ingresso della stanza. Mancava ormai poco al suo arrivo ma il Tempo, non ne voleva proprio sapere di scorrere veloce. Cominciò a lasciarsi andare a dei respiri cercando di mantenere il controllo delle proprie emozioni.
    La stanza era completamente vuota, era nell'aria il momento in cui sua Sorella avrebbe varcato la porta opposta alla sua. Poteva sentirlo dal rumore dei passi proveniente dalla medesima direzione. D'istinto Byron si alzò in piedi senza staccare l'attenzione dalla maniglia, la vide girarsi lentamente, trattenne il respiro chiudei i palmi delle mani in un pugno.
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    Deglutii nel momento in cui la porta cominciò ad aprirsi verso di Lui, e tre figure entrarono all'interno della stanza con Vivienne a fare da capofila mentre le due guardie la scortavano fino al tavolo dopo aver chiuso la porta. Byron rimase fermo ad osservare la scena. Spalancò appena la bocca quando vide sua Sorella camminare a testa in giù, dal suo aspetto aveva come la sensazione che qualcosa non andava, che forse lì dentro non la trattavano con il dovuto riguardo. Alternò un'occhiata prima a Vivienne e poi alle due guardie cercando le parole giuste.
    -Le mani potete tenerle al loro posto! affermò, rivolgendosi verso i due puntando il dito contro di loro dopo essersi deciso a rompere il ghiaccio, rimanendo a fissare i due fino a quando non uscirono fuori dalla stanza lasciandoli finalmente soli. Rimase come incantato ma dentro era come un Vulcano pronto ad esplodere da un momento all'altro, era sempre più convinto che Vivienne sarebbe dovuta uscire da quel posto, anche a costo di andare contro sua Madre e complicarsi la vita.
    Prese un respiro profondo, cercando di calmare l'animo per poi girarsi verso Vivienne nel momento in cui quest'ultima lo salutò:Ciao Byron disse mentre Lui andò a sedersi nella sedia dove era seduto in precedenza con occhi leggermente spiritati. -Ciao Vivienne rispose lasciandosi andare ad un sorriso nonostante il tono timido usato da sua sorella e del resto come poteva andare diversamente? chiusa tra quelle mura doveva aver perso ogni tipo di concezione di quello che accadeva all'esterno.Non ti aspettavo disse e Byron si lasciò andare ad una leggera risata:- hai detto così anche l'ultima volta. rispose per poi rimanere ad ascoltarla.
    Ma sono contenta di vederti... che tempo c'è fuori? domandò dopo aver finalmente alzato il capo verso di Lui e sempre finalmente, in quel momento poteva vederla negli occhi. Il suo tono di voce non si discostava molto da come lo aveva salutato. Siamo..." cominciò ma poi si fermò tornando in silenzio senza continuare la frase. Si spense ogni sorriso nel volto di Byron e preoccupato si avvicinò l tavolo con il busto in avanti, aguzzando lo sguardo per capire cosa stava succedendo:-Vivienne.. la chiamò per cercare la sua attenzione ma poi a sorpresa riuscii a completare la domanda:Siamo già in primavera?.
    Assottigliò nuovamente le labbra, constatando come i detenuti del Rising Sun fossero completamente tenuti all'oscuro di quello che accadeva li fuori, completamente al di fuori del Mondo, come se si trovassero in una Dimensione da cui non potevano uscire e del resto, non era poi una ipotesi campata per aria.
    Byron si rendeva conto di come quel posto potesse risultare cosi sbagliato e dentro di Lui, la voglia di portarla fuori da lì rimaneva immutata. Prese un ennesimo respiro, c'erano cosi tante cose che avrebbe voluto dirle ma che non poteva, come l'esistenza dell'altra Vivienne. Provò a immaginare in quel momento come l'avrebbe presa se glielo avesse rivelato, ma forse, scoprire anche che portava il suo stesso nome ma non era poi così difficile giungere alla conclusione che la loro Madre aveva cercato di rimpiazzarla e solo per non sconvolgerla che aveva deciso di non dirle nulla, almeno per il momento.
    -Anche Io sono felice di vederti inizio rompendo il ghiaccio a sua volta, portando l'indice sopra la superficie del tavolo mentre parlava:- oh...fuori Piove...oh si...molta pioggia aggiunse lasciandosi andare nuovamente a una piccola risata ma per tornare serio subito dopo:- mi dispiace deluderti, ma siamo ancora in Inverno rispose assottigliando le labbra per l'ennesima volta. Byron aveva un rapporto di amore e odio con il Freddo, si trovava meglio nei periodi pre-Estivi ed Estivi, il clima caldo era sicuramente l'ideale. Tornò ad osservare sua sorella scrutando le sue condizioni con lo sguardo:-ti danno da mangiare? da quando è che non mangi? il cibo non è buono? domande a raffica uscirono dalla sua bocca dirette verso Vivienne con tono premuroso, la sua testa stava entrando in confusione tanto da dover abbassare a sua volta il capo e spremere gli occhi cercando di lasciarsi scivolare via quella sensazione d'impotenza nel vederla lì rinchiusa in quel dannato posto dimenticato da Dio.
    Cercò di riprendersi come meglio poteva, non era facile per Lui essere lucido in quel momento:-sai.. cominciò abbassando gradualmente il tono di voce guardando alle spalle della ragazza. Senza farsi vedere tirò fuori un mazzo di chiavi dalla tasca sinistra e le lasciò scivolare lungo la gamba andando a finire sotto i piedi di Vivienne. A quel punto si alzò lentamente dalla sedia e lentamente, si avvicinò all'altra parte del tavolo e si piegò sulle sue gambe facendo per raccoglierle ma prima, si fermò qualche secondo in quella posizione mantenendo un tono di voce molto basso:sai... comincio cercando le parole giuste:-il giorno in cui uscirai da quì... prese una piccola pausa:-ti porterò in un posto dove potrai mangiare tutto quello che vorrai disse scrutando le sue condizioni fisiche prima di alzarsi e girarsi verso la porta per mostrare le chiavi, non si poteva mai sapere cosa stessero facendo in realtà le due guardie appostate lì fuori. Tornò a sedersi e poggiando di nuovo i gomiti sul tavolo guardò nuovamente Vivienne - è solo questione di tempo rispose assottigliando le labbra nonostante un velo di amarezza a causa della complessità dell'operazione che per come si mostrava, era pura Utopia.
    Lasciò per qualche istante spazio al silenzio, anche se era stato lì tante volte, faticava ancora ad accettare la decisione di sua Madre ma molto fortunatamente, suo Padre la pensava diversamente anche se a volte le divergenze non erano facili da appianare. Qualsiasi domanda tu voglia farmi...non hai che da domandare Vivienne affermò infine rimanendo con lo sguardo su di Lei, per quanto gli ostacoli sembravano insormontabili, non avrebbe mai smesso di cercarla.

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    Non t’ama chi amor ti dice ma t’ama chi guarda e tace.
    (William Shakespeare)


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    Eccomi quà finalmente ce l'ho fatta a finire il post **, dunque, per la parte in cui le dice che è solo questione di tempo va un pò interpretata, perche immagino che a leggerla sembra che la vuole fare uscire subito ( se potesse penso lo farebbe right?) ma va anche vista in un'altro punto di vista come infondere non so tipo il sperare di poter uscire da lì magari un giorno non troppo lontano xD Ovviamente, per qualsiasi cosa nel post non va bene o non ti torna, non farti problemi a dirmelo che sono sempre pronto a modificare <3
     
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    25 // Tocco di Persefone // Nessuna congrega
    Il Rising Sun era come l'Isola che non c'è, o forse peggio di essa: qualcuno credeva nell'Isola di Peter Pan, nessuno credeva nel Rising Sun. I bambini sognavano quella terra dove non si invecchiava, ma nessuno immaginava ciò che accadeva tra le asettiche pareti di quella struttura, ad eccezione di pochi eletti. Era una realtà fuori dal mondo, inaccessibile. "Quando entri al Rising Sun, non esci più" era una frase che era affiorata nella mente di Persefone un'infinità di volte; del resto, loro erano pericolosi, lei aveva ormai imparato a capirlo ed accettarlo e comprendeva anche che le persone normali si sarebbero potute spaventare se avessero scoperto che esistevano persone come lei, in grado di portare morte e distruzione con la loro sola presenza. Ciò che, tuttavia, non riusciva a comprendere, era quel completo distacco dall'esterno: i pazienti del Rising Sun non avevano idea di come fosse la vita fuori. Quel poco che Persefone ricordava della sua vita prima del Rising Sun appariva come un ricordo sfocato e dai contorni imprecisi e più il tempo passava, più i dettagl si perdevano nei recessi della sua memoria. Poteva trattarsi di un effetto collaterale dell'operazione al cervello che aveva subito, ma ella riteneva che non fosse solo quello: no, probabilmente anche quella reclusione forzata lasciava i suoi strascichi. La sua percezione della realtà era ridotta al minimo e l'essere stata in gabbia così a lungo le aveva lasciato un animo ingenuo: il suo corpo era invecchiato, ma la sua mente non aveva tenuto lo stesso passo e, per questa ragione, Persefone risultava a tutti gli effetti molto più simile ad una bambina che non ad una giovane donna. Cristallizzata a quel giorno di quindici anni prima, forse non dimostrava dieci anni, ma la sua ingenuità rendeva impossibile attribuirle la sua età reale; era un cucciolo curioso e indifeso, ma nel contempo provvisto di un dono di morte. Gli unici avvenimenti che davano una nota di colore alle giornate di Persefone erano quelle visite improvvise di suo fratello e le visite alla Serra: quest'ultima, non era un vero e proprio giardino, bensì una stanza piena di piante, dove gli scienziati portavano la ragazza per dei test, al fine di verificare la potenza, la velocità e il raggio d'azione del suo dono. Le facevano fare giardinaggio in un crudele gioco di morte: ogni pianta che la ragazza toccava appassiva e vedere tutti quei colori svanire a causa sua gettavano spesso e volentieri Persefone in uno stato d'animo inquieto. La morte delle piante della Serra la rendeva triste, la faceva sentire un mostro.

    Alla reazione di Byron contro le guardie, la ragazza non reagì: poteva forse intuire il nervosismo del fratello e sapeva che a nulla sarebbe valso spiegargli che non la avevano trattata male e che, al contrario, con lei erano stati persino poco brutali rispetto a quanto facevano con altri pazienti rinchiusi lì dentro. Poi gli fece qualche domanda, perchè sentiva il bisogno di riempire quel silenzio opprimente: al Rising Sun i pochi suoni percepibili, generalmente, erano inquietanti: urla di altri pazienti, il frusciare dei fogli delle cartelle cliniche consultate dai medici, il "bip" ritmico di qualche strumento scientifico. E si morse la lingua, nel sentirsi chiamare Vivienne: perchè Vivienne non c'era più, non era più presente ormai da anni, da quando la avevano sottoposta a quella lobotomia frontale che la aveva cambiata per sempre. La sua mente era spezzata, difettosa: aveva perso dei ricordi e aveva anche perso la percezione del presente: razionalmente lo capiva, sapeva di essere malata di una rara Sindrome, ma quando questa si manifestava ogni conoscenza in merito svaniva, annulalta dalla paura. Persefone era un fiore a cui era stato reciso il gambo, così da impedirgli d crescere e sbocciare: i medici le avevano fatto ciò che ella stessa poteva fare alle piante. Sorrise, invece, quando Byron le ricordò che anche durante il loro ultimo incontro aveva affermato di non aspettarsi visite: era la verità. Ma, del resto, non era scontato che le guardie del Rising Sun lo lasciassero passare o che le permettessero di vederlo: ogni incontro poteva essere l'ultimo perchè i privilegi non era detto che durassero in eterno. Quando poi suo fratello rispose alle sue domande, la ragazza faticò a non alzare gli occhi dal tavolo per guardarlo: avrebbe voluto studiarne i lineamenti ma temeva le reazioni della sua mente. "Mi piacerebbe vedere la neve..."sussurrò appena. Aveva sempre preferito l'estate, calda e soleggiata, con le gite al mare o in montagna in compagnia di tutta la famiglia, quando i suoi genitori si permettevano di prendere le ferie assieme, ma anche la neve aveva un qualcosa di magico. Persefone ricordava vagamente quella coltre biancastra, morbida e gelida al tatto: associava ad essa quegli aggettivi, ma la sensazione del freddo nevischio contro la pelle non era più tra i suoi pensieri ed ella non era realmente in grado di rievocarla; si era persa, insieme a molto altro. L'odore delle lenzuola pulite e asciugate al sole, ad esempio, o il sapore delle fragole. Sì, il sapore del cibo era ciò che più le mancava: del resto, era da quindici anni che si nutriva o tramite tubetti di concentrati alimentari o via flebo quando era troppo stanca e affaticata per svitare il tappo delle sue razioni giornaliere. "Mangio il cibo degli astronauti, Byron"sussurrò, senza alzare lo sguardo "Non è un granchè quindi ne mangio poco, ma non posso avvicinarmi al resto del cibo" sussurrò, tenendo entrambe le mani in grembo, immobili, mentre le sue dita magre si itnrecciavano tra di loro "Appassisce tutto..." susurrò infine, con voce incrinata dalla sofferenza: era triste vedere le mele perdere il loro rossore o la carne imputridire al suo passaggio; Persefone non vedeva il mondo fuori da anni, ma lo ricordava pieno di bellezze, che lei avrebbe potuto distruggere con la sua sola presenza. Al Rising Sun la imbottivano di farmaci per mitigare gli effetti del suo dono, ma esso era sempre attivo, sempre mortale, e nessun sedativo avrebbe potuto difendere le razioni di cibo dall'aura mortifera che emanava.

    Mentre era ancora concentrata su quei pensieri cupi, la ragazza non si accorse del fatto che suo fratello aveva ripreso la parola e poi si era alzato, fino a quando non lo ritrovò accanto a sé, intendo a parlarle da una posizione accucciata. Sobbalzò sulla sedia nel vederlo lì, ma si tranquillizzò quasi subito vedendo che non era una guardia ma Byron; avendolo così vicino, non potè fare a meno di guardarlo negli occhi mentre le rivolgeva la parola. Un sorriso timido andò ad increspare le sue labbra, mentre nella sua mente si dipingevano immagini vaghe e sfocate di utopici momenti di felicità. Non riusciva ad immaginare un luogo, ma riusciva a vedere sé stessa accanto a Byron, seduta in quello che doveva essere un prato - e forse pensava ad un prato perchè le piante della Serra del Rising Sun erano l'unico paesaggio che riusciva ad immaginare - intenti a mangiare; nemmeno il cibo era ben definito, poichè ciò che improtava davvero, per lei, era il fatto che avrebbe potuto mangiare del cibo vero e non un surrogato sottovuoto. "Non si può..." Lo pensò, non lo disse, ma le sue labbra formularono quella frase mentre suo fratello si alzava, e se Byron fosse rimasto attento avrebbe potuto leggere il labbiale della ragazza, che anelava a fuggire, a riavere una vita normale con suo fratello, ma nel contempo si rendeva conto di quanto fosse pericoloso uscire da lì. E se avesse ucciso tutte le piante? Di cosa si sarebbero nutrite le altre persone? Davvero sarebbe riuscita ad essere così egoista? E suo fratello avrebbe davvero anteposto lei al resto delle persone? "Tu...tu sei felice?"gli domandò, mentre si voltava verso la porta, poi di nuovo verso di lui, poi ancora verso la porta, per cercare di capire se, a seguito del gesto di suo fratello, le guardie sarebbero entrate a prelevarla: ma non successe niente, così la ragazza potè tornare a guardarsi le mani. Le teneva ancora sulle gambe, ma aveva iniziato a tormentarsele incapace di tenerle ferme, in un'improvviso moto di disagio, causato probabilmente dall'aver guardato suo fratello così a lungo: stava nascendo in lei il dubbio che quell'uomo non fosse Byron, ma un impostore mandato lì per confonderla, per vedere se voleva scappare. "Io mi chiamo Persefone..." ribadì quel punto, come per sottolineare che il suo posto era lì, al Rising Sun, e che nons tava pensando di andar via: non voleva rischiare che l'uomo davanti a lei - era davvero Byron? - sospettasse che suo fratello voleva farla uscire da lì; perchè se era tutto un bluff se avesse dato corda allo sconosciuto, avrebbe finito col mettere nei guai il vero Byron e non avrebbe più potuto incontrarlo. La soluzione migliore, dunque, le parve parlare di altro. "L'-l'altro giorno""mi hanno portato una pianta nuova. Un...un" si morse il labbro inferiore, mentre le sue mani scattavano alla fronte, andando a picchiettarla da sotto la frangia, lì dove un'orrenda cicatrice deturpava il suo viso, segnale mai scomparso di quell'operazione che le avevano fatto anni prima. "CACTUS!" urlò poi, riabbassando le braccia e aprendosi in un sorriso infantile, mentre tornava a guardare, finalmente, il suo interlocutore negli occhi. "A te piacciono i cactus?"
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    Hai citato di nuovo Shakespeare ** Vuoi prendermi per la gola, ammettilo xD BTW avevo capito la questione del farla uscire (Byron è tanto tenero **) E comunque il post è perfetto <3
     
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    Vivienne era esattamente davanti a Lui, a pochi passi, separati da quel dannato tavolo e controllati da delle guardie che non perdevano di vista sua Sorella. Se solo riuscisse a chiudere gli occhi, poteva tornare indietro nel tempo come ogni qual volta che la incontrava, vederla libera da quelle catene, libera da quelle mura, da quelle oppressioni e sentirsi libera, portarla via da quel posto cosi triste e cupo era un pallino di Byron, era arrivato per Lui il momento ma era ancora presto per metterlo in atto, non aveva ancora le risorse utili a portarla fuori di lì anche se per il ragazzo, l'avrebbe portata via da lì con tutta la sua forza, superando qualsiasi ostacolo gli si sarebbe parato dinanzi pur di salvarla da quel Manicomio. Non riusciva a vedere sua sorella come un esperimento di laboratorio cosi come non riusciva a capire il motivo per cui i suoi Genitori l'avevano rinchiusa lì, coloro che invece avrebbero dovuto proteggerla da ogni avversità. Byron sospirò allungando le labbra in un flebile sorriso, non si poteva tornare indietro, questo lo sapeva. Mi piacerebbe vedere la neve... osservò sua sorella con quella premura di chi non voleva perdersi ogni minimo dettaglio per rendersi conti di come realmente se la stava passando lì dentro, sperando che alzasse il capo. Non voleva dire niente almeno inizialmente e lasciare spazio alle emozioni che si sarebbero scaturite a ogni parola e del resto, Byron ricordava perfettamente com'era sua Sorella prima di finire lì dentro, e anche se il tempo l'aveva cambiata Lui l'avrebbe accettata in qualsiasi momento. Mangio il cibo degli astronauti, Byron e poteva capirne il motivo, era sempre quello che l'aveva portata lì dentro.Appassisce tutto... la risposta era arrivata, puntuale come un orologio Svizzero. BYron tirò appena il naso come se in quel momento avesse un piccolo accenno di raffreddore ma era qualcos'altro che lo stava colpendo in quel momento. - la Vedrai. rispose riferendosi alla Neve, anche se con l'arrivo della Primavera era ancora presto prima che potesse giungere il prossimo inverno. - non devi abbassare il capo preciso Byron preoccupandosi per sua sorella, - sono dalla tua parte, non sono uno di loro. precisò ancora una volta indicando con lo sguardo gli uomini presenti alle loro spalle. Il ragazzo si era ormai legato al dito, non si sarebbe tirato indietro il giorno in cui l'avrebbe tirata fuori da quelle mura e a quel punto, non solo avrebbe visto la Neve ma anche il resto delle stagioni. Continuò ad ascoltare il racconto di Vivienne, una minima delle giornate che passava lì, in quel posto cosi cupo e tetro come un pezzo del Tetris mancante. Il Dono di Vivienne era tra i più mortali esistenti, il Rising Sun lo aveva capito, ma non aveva capito che a Byron sarebbe bastato sfiorare la mano di sua sorella, e copiare almeno per il momento il suo Dono, lo avrebbe fatto se sarebbe bastato a stare di nuovo con Lei. Tu...tu sei felice? la domanda di Vivienne era difficile da rispondere, poteva essere felice solo davanti a certe condizioni, fuori da quelle mura il vuoto lasciato da sua sorella si sentiva ma allo stesso tempo poteva vedere il puzzle ormai scisso in molteplici parti della sua famiglia. Il ragazzo si poggiò sopra lo schienale della sedia, guardando alcuni punti del tavolo per cercare la risposta. - Sarò felice quando uscirai di quì Vivienne. rispose senza troppi dubbi. "Io mi chiamo Persefone..." e a quella risposta Byron abbassò di nuovo il volto verso il tavolo, le sue mani scivolavano sulla superficie di esso, - no...no. scosse il capo almeno un paio di volte, lo alzò di nuovo mordendosi il labbro:- non lo sei. aggiunse cercando di farle capire quanto si sbagliasse:- Tu sei Vivienne Le Clerc. assottigliò le labbra angolandole in un piccolo sorriso, toccando con dito la situazione che si era creata. In seguito smise di parlare, lasciando la parola a Lei, limitandosi ad osservarla "L'-l'altro giorno""mi hanno portato una pianta nuova. Un...un" poggiò le mani con uno sguardo tra l'incuriosito e il preoccupato nel momento in cui cominciò a evidenziare la cicatrice sulla sua fronte, inarcò un sopracciglio alternando uno sguardo tra la porta e sua sorella.CACTUS! aveva urlato con le braccia verso l'alto, come una volta si faceva quando si esultava per qualcosa, vide il sorriso nel suo volto come non lo aveva visto da molto tempo. "A te piacciono i cactus?" la domanda che seguì l'esultanza gli diede da riflettere almeno per qualche secondo, scavare indietro nel tempo nei ricordi a volte era anche doloroso. - Cactus, si. annuì mettendosi a braccia incrociate, allungando le gambe per mettersi comodo e inclinando la testa a un lato - una volta ne avevamo uno nel nostro giardino, ricordi? domandò sperando che quel ricordo fosse ancora presente in Lei. - Tu non volevi mai toccarlo. aggiunse lasciandosi andare a una piccola risata con una dose di nostalgia. Poi ripensò al giorno dell'incidente e al Destino della pianta, cosi decise di dare un finale agrodolce al piccolo Cactus - alla fine Brontolo se lo portò via. prese una piccola pausa, portando ironicamente lo sguardo verso l'alto come se stesse pensando a qualcosa o a ricordarsi di un particolare. - sai, non credo sia mai stato ritrovato. affermò riferendosi al Nano da Giardino. Si lasciò andare per un momento ad una risata per poi alzare gli occhi verso sua sorella annuendo leggermente. - e dimmi...Persefone. si prese un ennesima pausa, cercando di stare al suo gioco per poi continuare:- ti piace il Cactus? domandò rimanendo a guardare in attesa di una risposta. Nel frattempo, non smetteva di essere vigile su quel che accadeva alle loro spalle.
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    Eccomiii, ti chiedo scusa anche qui per l'ennesimo ritardo, sto cercando di riprendere un buon ritmo, spero di non far aspettare più nessuno <3
    Ti chiedo scusa per l'improvvisazione sulla pianta di cactus nel giardino, naturalmente se ho azzardato troppo dimmelo che sono sempre pronto a modificare.
    ps: grazie per questa role <3
    ovviamente se c'è qualcosa da modificare, sono sempre disponibile :D
     
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    Nelle mani di un folle o di un fanatico, un potere qualunque di quelli custoditi al Rising Sun sarebbe potuto risultare letale, devastante per le persone e per il pianeta. Il Siero aveva innumerevoli vantaggi ma quei doni non erano altro se non un effetto collaterale, qualcosa che quel composto chimico non avrebbe mai dovuto generare. Per mettere in ginocchio l'intero Mondo, a qualcuno sarebbe bastato uno schiocco di dita, una manciata di secondi. Per quello Bruce Sallister puntava ad estirpare il problema alla radice, cercando un modo per contenere i doni fno al giorno in cui sarebbe riuscito definitivmente ad eliminarli. Aveva tutto il tempo del mondo, il Governatore, per raggiungere quel risultato, data la sua immortalità, ma non poteva permettersi di lasciare che, nel frattempo, il mondo implodesse, non dopo che si era così faticosamente ripreso dalla Terza Guerra Mondiale. Ma anzichè sensibilizzare gli individui, egli agiva in maniera drastica, fin troppo consapevole del fatto che, se il Siero avesse continuato a funzionare come previsto, nulla avrebbe potuto portare un folle ad agire con coscienza con un dono distruttivo. Per quello esisteva il Rising Sun con i suoi pazienti. Qualcuno veniva rinchiuso non appena sviluppava il suo dono, qualcun altro in seguito, solamente quando la reale e potenziale mortalità del dono stesso si rivelava. Ma chi apparteneva alla prima categoria, come Vivienne Leclerc, che tipo di persona sarebbe stata? Avrebbe davvero usato il suo potere per mettere in ginocchio il Mondo? O lo avrebbe usato con cognizione di causa? Era impossibile saperlo, poichè il sistema le aveva preventivamente impedito di fare una scelta. Vista dall'esterno, tuttavia, appariva impossibile credere che potesse agire contro qualcuno. Bastava guardarla quando veniva portata nella serra per gli esperimenti: qualcuno che piangeva per una pianta morta, come avrebbe potuto fare del male ad una persona? Persefone, quella bambina in un corpo di donna, era un agnello sacrificale: non avrebbe mai fatto male ad una mosca, non volontariamente. Probabilmente i medici e gli psicologi lo sapevano, sapevano che una creatura così fragile come lei non costituiva una minaccia di persé. Era il suo dono ad esserlo, perchè una persona così ingenua come Persefone, una mente così semplice, avrebbe potuto lasciarsi sfuggire dalle dita quel potere involontariamente. Un'emozione improvvisa sarebbe bastata per creare una catastrofe. La sua patologia, inoltre, non poteva essere ignorata. L'intervento che le era stato praticato nel tentativo di porre un freno al suo dono non aveva fatto altro se non peggiorare le cose. Considerato l'ambiente chiuso in cui viveva, il non riconoscere piùle persone che le stavano attorno poteva gettarla in stati di paranoia difficili da contenere. Se, da una parte, Persefone aveva bisogno di persone di riferimento così da sentirsi tranquilla e al sicuro, proprio a causa di quel suo carattere che la portava ad essere una bambina troppo cresciuta, dall'altro lato circondarla di figure note poteva riportare a gallala su patologia. La sua condizione all'interno del Rising Sun, di conseguenza, era particolarmente delicata. Altrettanto delicata, di conseguenza, era la presenza di suo fratello lì. La ragazza non sapeva per quale ragione a lei fosse concesso ricevere visite; ma forse era solo un modo per tenerla tranquilla o un'altro esperimento, chi poteva dirlo? Il problema sostanziale era che, col tempo, ogni volta che Byron arrivava lì, Persefone aveva paura di non riconoscerlo. Sapeva di avere una malattia, ma dimenticarsene era incredibilmente facile: inoltre chi poteva garantirle che gli scienziati non cercassero di ingannarla, mettendole davanti un attore al posto del fratello? Lo vedeva talmente di rado che non era nemmeno così improbabile.

    Alzò gli occhi, speranzosa, quando il fratello le disse che avrebbe visto la neve. I suoi occhi furono attraversati da un luccichio inconfondibile: la speranza. Qualunque cosa dicesse Byron, Persefone tendeva a crederci con naturalezza. Del resto lui era il suo fratellone, il migliore amico che avesse mai avuto, il suo cavaliere senza macchia: nella sua ottica nessuno le voleva bene come lui né lei sarebbe mai riuscita ad affezionarsi a qualcuno tanto quanto era legata a Byron. E quando suo fratello le prometteva qualcosa, generalmente, Persefone si affidava a lui senza paura e la distanza non aveva attenuato quelle emozioni. Al contrario, Byron era la sua ancora e le visite del fratello la aiutavano a restare a galla: passava le giornate più nere a pensare al loro prossimo incontro, a come sarebbe potuto essere. Spesso erano ripetitivi e molto simili, visto il suo status di reclusa, ma a Persefone piacevano così com'erano. Così, quando vide che il fratello non le aveva messo fretta per raccontare la sua storiella, quell'unica nota di novità nelle sue giornate, sorrise soddisfatta per essere arrivata alla fine senza dover chiedere la'iuto di qualcuno. E quando fu la volta di Byron di raccontarle una piccola storiella con un cactus come protagonista, la ragazza non potè fare a meno di spalancare i suoi occhi chiari e di dischiudere le labbra in una "o" che diventava sempre più grande mano a mano che suo fratello rievocava quei ricordi. Molti erano sbiaditi e la ragazza, che da così tanto tempo non lasciava il Rising Sun, aveva iniziato a dimenticare alcuni dettagli del suo passato e dei posti che aveva visto. Ma quando Byron raccontava qualcosa, la sua mente correva lontano e la fantasia tipica dei bambini, quella che non aveva mai perso, si sommava ai ricordi proponendole scenari realistici, come se fosse stata davvero lei la protagonista di quei racconti; ma non nel passato, bensì in quel momento, mentre ascoltava. "Brontolo?" domandò sbattendo le palpebre, dubbiosa, cercando di riportare alla mente quella figura descritta da suo fratello. Poi, l'illuminazione. "Ah! Quello col cappello rosso?" vero, domandò, sollevando le mani per mimare un triangolo sopra la testa, per indicare proprio il cappello del nano da giardino: non faticava ad immaginarselo intento a portarsi via il cactus durante la notte, come se fosse stato una persona in carne ed ossa e non una decorazione da giardino. "...e Brontolo come ha fatto a non pungersi?" domandò preoccupata per la sorte del nano da giardino che, per sollevare quel cactus, doveva per forza essersi in qualche modo ferito dal suo punto di vista. Annuì poi, con energia, in direzione del fratello "Molto" disse "è più resistente delle altre piante, quindi posso prendermene cura senza che...bhe...muoia altrettanto in fretta" disse, con voce più rilassata e tranquilla. Quella storia del cactus e del nano da giardino sembrava fosse riuscita a contenere non solo la tristezza che la assaliva di solito quando parlava del suo potere ma anche gli effetti della sua patologia che, poco prima, avevano iniziato a manifestarsi.
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5 replies since 31/1/2017, 12:09   383 views
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